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Bray: «Misure fiscali forti e chiare a sostegno dei beni culturali»

24 maggio 2013 - Il Fisco tenga conto dell'eccezione culturale. È il messaggio che il ministro dei Beni culturali. Massimo Bray, ha lanciato nel corso dell'audizione di fronte alle commissioni Cultura di Camera e Senato riunite in sede congiunta a Montecitorio. Bray si è soffermato più volte sulla necessità di un trattamento di favore da riservare al nostro patrimonio artistico da parte dell'amministrazione finanziaria: lo ha fatto quando ha chiesto «misure forti e chiare» come l'Iva agevolata o la riforma del regime delle detrazioni e deduzioni dall'Irpef (da modellare magari sul sistema francese) per il restuaro dei monumenti, lo ha ribadito quando ha sollecitato una riflessione sull'opportunità dell'allineamento dell'Iva per gli e-book con quella per le pubblicazioni cartacee (rispettivamente al 21 e 4%), lo ha confermato nel perorare il rinnovo del tax credit per il cinema per il triennio 2014-2013 (il beneficio fiscale scade a fine anno) o un regime impositivo di favore per le dimore storiche.

Le priorità
Non solo agevolazioni fiscali, ovviamente. L'illustrazione delle linee programmatiche del ministero ha spaziato su tutti i temi aperti che mettono a rischio il nostro patrimonio e indeboliscono la nostra immagine nel mondo. È il caso dei grandi restauri - Pompei, Colosseo, Domus Aurea, Appia antica - annunciati ma non ancora partiti, della tutela del paesaggio («penso di proporre al Consiglio dei ministri - ha affermato Bray - una data certa entro cui concludere l'opera di copianificazione paesaggistica con le Regioni>), della qualità architettonica delle città, della riqualificazione dei centri urbani, della fruibilità di musei chiusi e dimenticati perché le risorse non consentono di assumere custodi che ne garantiscano l'apertura.

Musei gestiti dai privati
A questo proposito, secondo il ministro la via percorribile potrebbe «esssere quella di consentire la concessione dei siti, sulla base di un progetto di restauro e di valorizzazione condiviso con il ministero, a soggetti privati, sulla base di procedure selettive di evidenza pubblica e per un periodo di tempo determinato». Se poi questa formula di gestione dei siti minori non dovesse garantire ritorni economici al privato, allora si «potrebbe ipotizzare - ha proseguito Bray - la concessione a soggetti non lucrativi, che sarebbero in grado di assicurare almeno l'apertura al pubblico».

Le riforme urgenti
Molti gli interventi da chiedere al legislatore: nuove regole che consentano di destinare al ministero i proventi dei biglietti e le royalties dei servizi aggiuntivi (che oggi finiscono in gran parte nel gran calderone del bilancio statale), l'aggiornamento della disciplina sulla circolazione dei beni culturali oltreconfine, indicazioni precise sulla qualità architettonica delle nuove opere, la revisione del codice dei beni culturali, una chiara regolamentazione per evitare di disseminare il territorio di impianti di energie rinnovabili, l'introduzione di paletti al consumo del suolo, l'inasprimento dei reati contro il patrimoni o culturale, interventi per aiutare il cinema nel passaggio al digitale (che avverrà dal 1° gennaio prossimo e che rischia di lasciare indietro circa mille sale, ovvero il 25% dei cinematografi, che non hanno le risorse per l'aggiornamento tecnologico).

Spending review meno rigida
Infine, c'è la necessità di metter mano - ha sostenuto il ministro - ai criteri della spending review, che hanno tagliato i comitato tecnico-scientifici anche dei Beni culturali. Un «regime troppo rigido e cieco - ha affermato Bray - perché l'operatività di questi organi è indispensabile» e che costringerà a ricorrere a consulenti esterni, «con aggravio dei costi per la collettività e garanzie di professionalità e indipendenza certamente non maggiori».

di Antonello Cherchi, www.ilsole24ore.it