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Il Wall Street Journal: 'Le cover band destinate a scomparire'

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  • Pubblicato in Attualità

Probabilmente i gestori di certi locali - soprattutto italiani - la penseranno diversamente, conti del bar alla mano, ma il Wall Street Journal, una delle testate più autorevoli al mondo in materia di economia, ne è praticamente certo: le cover band, ovvero i gruppi - nella quasi totalità dei casi di dilettanti o semi-professionisti - il cui repertorio sia costituito esclusivamente da brani non originali (o tribute band, nel caso lo stesso si componga di brani scritti da un singolo artista) hanno i giorni contati.

L'articolo, firmato da Neil Shah, parla chiaro: la lenta agonia dei gruppi che non si cimentino in composizioni originali ebbe inizio negli anni Novanta, quando i primi morsi della crisi colpirono inevitabilmente l'industria musicale costringendo i gestori dei club a ridurre i budget per le serate. Probabilmente, però, la crisi era iniziata già prima: come nota Clyde Smith su Hypebot, una primo colpo alle cover band fu dato, negli anni Ottanta, soprattutto negli USA, dall'avanzata della scena indie. Che era sì meno conosciuta ma più alla moda. E più attraente agli occhi dei discografici.

Sterling Howard, analista di Musician's Contact, ne è convinto, e porta dei numeri: negli ultimi 15 anni, le 40 cover band più famose d'America sono diminuite del 40%.

Ci sono poi aspetti socio-culturali da considerare: le cover band sono per lo più un topos dababy boomer, quindi da ascoltatore caucasico, oggi abbondantemente ultraquarantenne e con scarsa propensione alle serate fuori casa e alla scoperta di nuova musica. Il profilo di un ascoltatore nato in epoca pre-Web, quindi, quando la cover band in programma al bar sotto casa poteva essere un valido canale per ascoltare musica - vecchia o nuova - di non facile reperibilità. Oggi, tra Youtube e piattaforme streaming, il problema non si pone praticamente più. Anzi, pare si sia innestata una reazione - sorta di coda lunga di quella nata negli anni Ottanta - che porta il pubblico frequentatore di concerti in club medio-piccoli - più o meno il profilo dell'heavy consumer di servizi del genere - a preferire band con repertorio originale a gruppi di cover, spesso orientati a musica considerata passé.

Una situazione, questa, ovviamente osservata su un mercato - quello americano - profondamente diverso dal nostro, da interpretare più come tendenza che come dato di fatto. E che potrebbe riservare ancora sorprese...