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E' vero, anche il silenzio è musica.

  • Written by Carlo Verdone
  • Published in Attualità

’È TROPPA musica, addirittura molesta e invadente, nei film italia- ni, come protesta Michele Anselmi sul Secolo XIX? Dipende. Io posso parlare solo della musica che accompagna le commedie italiane, essendo il genere cinematografico nel quale lavoro e ho sempre lavorato. Sicuramente esiste una tendenza ad abusare della colonna sonora, e anche delle canzoni, a riempire ogni interstizio, ogni scena, direi quasi per paura di un possibile vuoto. Di solito accade se il film è destinato ad un pubblico essenzialmente giovanile e l’articolazione della storia è sempliciotta. La musica quindi avrebbe il compito di rendere “dinamico” e “festoso” ciò che il film promette ma rischia di non mantenere, spesso per la fragilità del soggetto e della conseguente sceneggiatura.

In effetti, pur esagerando, Anselmi qualche ragione ce l’ha. Spesso si ha la sensazione di ascoltare una lunga colonna sonora che commenta, fuori luogo, il nulla. Intendiamoci: anche chi fa commedie ben scritte spesso è preda di insicurezze. Il dubbio che un dialogo sia troppo lungo, tanto da annoiare gli spettatori, è sempre in agguato. E così si tenta di aggirare la paura pompando la musica. Avviene per lo più al montaggio, quando si avverte un momento di stanchezza: la prima cosa che viene in mente è rinforzare quella sequenza o quella scena, che sembrerebbero far per-dere il ritmo, con l’appoggio di una musica.

Ne consegue che se la musica prende il sopravvento vuol dire che il film presenta parti deboli in scrittura. Perché una sceneggiatura ben costruita necessita di pochi interventi. La musica, come i condimenti, andrebbe usata poco e per poco tempo, con oculatezza. D’altro canto, però, la storia del cinema, anche italiano, ci parla di connubi perfetti, miracolosi, simbiotici tra registi e compositori: penso a Leone & Morricone, a Fellini & Rota. L’uno ha influenzato l’altro e viceversa, sono cresciuti insieme. Che cosa sarebbe “Per un pugno di dollari” senza quel fischio e quella chitarra col tremolo così ironici? O “Amarcord” senza quel motivo tenero e nostalgico?

Se penso al mio primo film, “Un sacco bello”, ritengo che esso rappresenti la giusta misura tra dram-maturgia e commento musicale. Ennio Morricone ebbe il notevole tatto di non interferire assoluta- mente, di rispettare il fiume di dialoghi che dava forza, credo, alla commedia. La parte recitata spesso era talmente efficace sullo schermo che a lui non venne mai in mente di sottolinearla. Si inserì, con gran gusto ed ispirazione, nei rari momenti di silenzio.

Una musica acquista il suo valore quando entra al momento giusto e se ne esce al momento giusto. Penso all’uso che Sam Mendes fa di Thomas Newman in “American Beauty”: stupendo. O che Paolo Sorrentino fa di Lele Marchitelli, con il quale ho lavorato anch’io per due film, in “La grande bellezza”: perfetto. Molti dimenticano una cosa fondamentale: che anche il silenzio è musica. Perché sia vero questo, ovviamente, ci deve essere un film robusto, con bei momenti di poesia. Spesso alle immagini poetiche non servono le note d’accompagno, ma il semplice ovattato rumore dell’ambiente. O della natura. 

 

fonte: Il Secolo XIX

Last modified onTuesday, 25 March 2014 17:47