Spera, presidente di Assomusica: «Le statistiche parlano chiaro, i prati sono salvi
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Quello di Vincenzo Spera è un nome ben noto agli addetti ai lavori del fronte del palco, appena confermato ai vertici di Assomusica, l'associazione dei produttori e organizzatori italiani di spettacoli musicali dal vivo, la Confindustria del music business, insomma. È nato a Salvitelle, piccolo comune (600 e passa anime) della provincia di Salemo, dove ha cominciato ad organizzare show nel 1971, prima di «emigrare» a Genova, dove tutt'ora vive e lavora, portando sul palco nomi del calibro di Ray Charles, Frank Sinatra, Eric Clapton, Ella Fitzgerald, Miles Davis, Elton John. L'eco delle polemiche sul San Paolo lo fanno arrabbiare due volte e vergognare due volte, «da presidente di Assomusica e da campano».
Perché arrabbiare e perché vergognare?
«Arrabbiare perché si tratta di una querelle senza senso. Le statistiche, i dati delle Camere di commercio di tutt'Italia, dicono che i concerti negli stadi producono denaro per tutti, sono volano turistico oltre che offerta di lavoro e, naturalmente, occasione culturale e sociale importante. A Milano, Torino, Roma, ma anche a Firenze, Verona, Padova, Belluno e Messina si canta e si suona negli stadi e senza che siano mai stati registrati problemi particolari al manto erboso: quando, raramente, è successo, come da contratto l'organizzatore paga, fa sostituire a sue spese le zolle in questione e la squadra di casa gioca sul miglior manto erboso possibile: capisco, viste le mie origini, quanto conti l'amore per il Napoli, ma non si può far scoppiare la guerra tra i napoletani che amano il calcio e quelli che amano il buon sound. A ogni concerto si calcola che il 40% delle presenze venga da fuori città, spendendo due o tré volte il prezzo del biglietto.
La stagione 2014 di San Siro, stadio che ormai è noto come "la Scala della musica", ha prodotto un indotto di 22 milioni di euro, i soli Rolling Stones a Roma di circa 12».
La rabbia è spiegata. E la vergogna?
«Napoli, capitale culturale e di musica che sento un po' anche la mia città, non può vietare gli spazi alla musica, è un non sense, una debacle. Erano arrivate buone notizie: la riapertura del San Paolo, con Vasco venerdì e il 26 luglio con Jovanotti, la riapertura di piazza del Plebiscito, ora... Nel 1982 ho avuto la fortuna di collaborare con David Zard all'evento dei Rolling Stones allo stadio: Napoli tornò nel circuito musicale che contava, anche allora si fecero tante polemiche per il manto erboso, ma dopo un mese era tutto a posto. Mi vergogno, da campano, che Napoli non abbia uno stadio, un palasport, una casa della musica in grado di ospitare i grandi tour. Niente contro gli eventi a Castelmorrone o a Eboli, ma ci rendiamo conto di come trattiamo i ragazzi campani costretti a fare chilometri, decine o centinaia che siano, per vedere i loro beniamini? Di quanti soldi di indotto buttiamo al vento, quante possibilità di lavoro sprechiamo? Senza dimenticare poi che il decennio e passa di silenzio ha disabituato il pubblico ai concerti, alla prevendita... Il Komandante Vasco ci ha dato una bella mano a tornare sulla giusta strada, non sprechiamo il lavoro fatto solo perché la società calcistica e il Comune non sanno dialogare tra di loro».
Per bocca del responsabile delle operazioni vendite e marketing, Alessandro Formisano, il Napoli chiede almeno concerti senza spettatori sul prato, spera che si possa fare così almeno per Jovanotti.
«Mi riarrabbio e mi rivergogno. Chi discute di queste cose deve avere i numeri, le cifre, le statistiche alla mano, come sto facendo io, non si improvvisa sulla pelle di artisti e protagonisti dello showbusiness. I pannelli messi a copertura del manto erboso costano, manutenzione compresa, 70-80.000 euro, non sono messi lì per decorazione. E la storia dei concerti in Italia ci dice che non è il calpestio degli spettatori a rovinare, quando raramente succede, un manto erboso, ma un muletto che esce dalla traettoria prevista, un errore di questo tipo. E la stessa storia ci dice che quell'errore è riparato velocemente, a spese dell'organizzatore, che versa una cauzione proprio per questo».
Morale della polemica?
«Le aziende che Assomusica rappresenta lavorano nell'Italia in crisi e affrontano la crisi della musica, per gli artisti che rappresentiamo il palco è diventata l'unica occasione di guadagno, visto lo stato della discografia. L'allestimento di uno spettacolo dura due-tre giorni, poi c'è lo show, tre ore di emozioni, adrenalina, giovani che stanno bene insieme, che cantano versi d'amore e riflessione. Il nostro lavoro ha a che fare con l'arte, ma anche con l'edilizia: per forza di cose, i nostri cantieri si aprono e si chiudono nei tempi previsti. Regaliamo buone emozioni, cultura, occasione di stare insieme senza la violenza che dilaga negli stadi per le partite, non certo per i concerti. Producono lavoro, economia. Una città chiusa ai concerti è una città spenta, una capitale della musica come Napoli non può restare in silenzio. Mi auguro che dopo gli eventi Vasco Rossi e Jovanotti ci si possa mettere tutti intorno a un tavolo e restituire alla città il suo stadio, aperto al calcio, aperto alla musica, aperto ai napoletani. E con un manto erboso da sogno su cui i campioni di casa facciano goal degni della poesia, e della classifica, di Maradona».
fonte: Il Mattino
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