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Nuovo tentativo di raccolta dati per i servizi in streaming

Anche i servizi in streaming stanno cercando di risolvere i problemi di copyright, soprattutto dopo che Spotify è stato colpito da due azioni legali, la prima lo scorso dicembre con la richiesta di 150 milioni di dollari, la seconda a gennaio per 200 milioni. Entrambe sono state portate avanti da gruppi di artisti che accusavano Spotify di non aver ottenuto le giuste licenze per utilizzare la loro musica «in una continua campagna di infrangimento deliberato del copyright».

La giustificazione di Spotify, spiega la rivista online Mashable, è stata che più che un’azione deliberata si è trattato del risultato di mancanza di dati, che spesso «mancano o sono sbagliati o incompleti». Per questo Music Reports, che si occupa proprio della raccolta di dati per servizi come Tidal, ha trovato un nuovo metodo per «portare più trasparenza in un problema vecchio di decenni». Ora chi pubblica la propria musica avrà più potere sui dati relativi, potendo controllare se sono aggiornati oltre a registrare nuovi lavori e chiedere le licenze di qualsiasi album in cui siano presenti le loro canzoni. Tutto questo sarà convalidato da 40 musicologi.

Uno dei problemi al momento è che esistono copyright diversi per chi ha scritto la canzone, e a volte si tratta di più autori, e per chi l’ha registrata. Finora, inoltre, i registri non erano pubblici proprio perché, ha spiegato il vicepresidente di Music Reports Bill Colitre, temevano di essere chiamati in causa.