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Assomusica Roma

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Allegro Moderato in Band a Mosca. Un successo italiano tutto speciale

Il Teatro Estrada è un palazzone sovietico del ’54 tra i due bracci della Moscova, quasi di fronte al Museo Pushkin, in linea d’aria a poca distanza dalla Piazza Rossa e dalle guglie del Cremlino che svettano nel cielo gelido del dicembre russo. I ragazzi milanesi della AllegroModerato in Band non si sarebbero mai sognati di arrivare
qui a vivere due serate così eccitanti, protagonisti sul palco di un piccolo trionfo forse senza precedenti, con la gente in platea e nelle due gallerie a battere le mani e a chiedere il bis. Loro sono quelli che avrebbero un po’ di problemi: storie complicate di disagio psico-fisico, una diversa dall’altra. Una band speciale, insomma. Ma insieme, quando suonano, non c’è handicap che tenga. Hanno attaccato con un medley di sapore cinematografico che rendeva omaggio a Rota e Morricone (Il Padrino, Otto e mezzo, Amarcord), poi in un’atmosfera sempre più festosa tra Fellini e Bregović hanno fatto ballare il pubblico con un incredibile “Azzurro” – Paolo Conte e Celentano se ne sarebbero compiaciuti - cui ha dato voce come guest star Dmitri Bogatov, giovane cantante ipovedente moscovita. Era l’International Paramusical Fest organizzato dall’efficientissimo Grigory Mikaelian, quarta edizione di una kermesse che porta ogni anno nella patria di Musorgskij decine di artisti con disabilità che arrivano da tutta la Federazione Russa e da altri Paesi del mondo. Alessandro, Alexis, Carlo, Daniele e Davide “lavorano” ormai da qualche anno assieme a molti amici con l’orchestra sinfonica di AllegroModerato, che tiene regolarmente concerti, non solo in Italia; poi, l’anno scorso, il fondatore e presidente della cooperativa, Marco Sciammarella – anima musicale di questa formazione che non si pone limiti – ha avuto l’idea di creare l’AllegroModerato in Band, un piccolo gruppo consacrato al pop-jazz. E il boss, come lo chiamano alcuni dei suoi, non s’è arreso di fronte a tutte le difficoltà che comportava l’organizzazione della trasferta all’Est: aiutato dagli altri due musicisti-educatori Matteo Rossi e Luca Baldan nonché dai genitori dei ragazzi, alla fine ha guidato tutti a Mosca, coinvolgendo anche il CPM di Franco Mussida che ha “prestato” all’ottetto il batterista Claudio Damiano, gigante trapanese subito adottato da
tutti gli altri. E’ stato un successo molto italiano tra decine di balalaike e di coreografie folkloristiche della Grande Madre. AllegroModerato, “fa tremare i parametri della normalità”, come ha detto la regista Patrizia Santangeli che alla cooperativa milanese ha dedicato recentemente un nuovo video. E ai ragazzi della band (tutti) – che prima di partire per il Festival erano stati ospiti del sindaco di Milano Pisapia a Palazzo Marino - è rimasto al ritorno solo un piccolo rimpianto: quello di non poter portare a casa anche Asia, Angelina, Ksenia e Katia, le studentesse russe di italiano che li hanno guidati pazientemente e con simpatia in giro per Mosca tra prove in teatro, visite turistiche e cene a tarda ora.

fonte: Corriere della Sera

Bob Dylan, l’omaggio al jazz di Sinatra

I grandi standard della canzone jazz: è questa l'ultima sfida discografica di Bob Dylan, giunta ormai al capitolo numero 36. Il 3 febbraio uscirà il suo nuovo albumShadows In The Night, in vinile + cd ed in digitale. Il disco conterrà dieci brani prodotti da Jack Frost (pseudonimo spesso usato dalla stesso Dylan) e la scelta è caduta su alcuni storici standard jazz come Autumn leaves, I'm a fool to want you,The night we called it a day, Full moon and empty arms e That lucky old sun: tutti brani celeberrimi entrati nel repertorio di grandi artisti come Billie Holiday, Chet Baker e, soprattutto Frank Sinatra. Parlando del disco, Bob Dylan ha dichiarato: "Realizzare quest'album è stato un autentico privilegio. Da tempo volevo fare
un disco come questo ma non ho mai avuto il coraggio di avvicinarmi ad arrangiamenti complessi per 30 elementi e adattarli per una band di cinque. Il segreto di queste interpretazioni? Conoscere benissimo i brani. È stato fatto tutto dal vivo, in una sola take, due al massimo. Niente sovraincisioni, niente cabina voce, niente cuffie, niente tracce separate: è stato mixato più o meno come è stato inciso. Non mi sembra assolutamente di aver realizzato delle cover di queste canzoni, ne sono state fatte talmente tante che alcuni brani sono stati sepolti dalle loro stesse cover. Con questo album io e la mia band stiamo fondamentalmente facendo riscoprire queste canzoni". Come spiega Rob Stringer, Presidente di Columbia Records, "non ci sono archi, i soliti fiati, cori o altri espedienti che spesso caratterizzano gli album di ballate standard. Bob ha trovato un modo di dare nuova vita a queste canzoni e renderle contemporanee. È un disco di altissimo livello e non vediamo l'ora di presentarlo al mondo intero". Negli ultimi anni, Dylan ha conosciuto un successo commerciale mai raggiunto nemmeno nei primi anni Sessanta, il periodo artisticamente più significativo della sua carriera: Time Out Of Mind del 1997, ha ottenuto il disco di platino e gli è valso numerosi Grammy, tra cui quello per Album Of The Year, mentre Love And Theft del 2001, anch'esso disco di platino, ha ottenuto numerose candidature ai Grammy e una statuetta nella categoria Best Contemporary Folk Album. Modern Times, uscito nel 2006, ha venduto più oltre 2,5 milioni di copie vendute nel mondo e ha conquistato due Grammy. Together Through Life è stato il suo primo album a debuttare al numero 1 sia negli USA sia nel Regno Unito (e in cinque altri paesi) ed ha
superato il tetto del milione di copie vendute. Tempest ha ottenuto subito il plauso della critica mondiale ed è entrato nella Top 5 di 14 paesi. Il singolare repertorio dell'album è stato fortemente valorizzato dalle tournée mondiali che Dylan ha intrapreso negli ultimi anni. Recentemente Bob Dylan ha ricevuto la Medaglia presidenziale della libertà, la più alta onorificenza civile degli Stati Uniti conferitagli dal presidente degli Stati Uniti. Nel 2008 è stato insignito di uno speciale Premio Pulizer per "il suo profondo impatto sulla musica pop e sulla cultura americana, grazie a testi dalla straordinaria forza poetica". Ha inoltre ottenuto il titolo di Officier della Légion d'Honneur francese nel 2013, il Polar Music Award svedese nel 2000 e diverse lauree ad honorem, tra cui quelle della University of St. Andrews e Princeton University, oltre a numerose altre onorificenze. All'inzio di novembre è stato pubblicata la versione integrale dei leggendari Basement tapes, le sessions di cui furono protagonisti Dylan e membri della Band durante la convalescenza del musicista dopo l'incidente di moto del 1966. Fino ad oggi, Bob Dylan ha venduto oltre 125 milioni di dischi nel mondo.

fonte: La Repubblica

Spera, quarant’anni “spesi” per la musica

«LA COLONNA sonora della mia vita? Un pezzo dei Rolling Stones o dei Led Zeppelin, uno di quelli che dà la carica, che ti spinge a sognare ancora».

Sorride Vincenzo Spera, Presidente di Assomusica, che con la sua azienda Duemilagrandieventi ieri ha festeggiato quarant’anni di concerti a Genova con un aperitivo per pochi intimi al 105 Stadium, teatro di un ennesimo liv eche porta il suo marchio, quello dei Dear Jack. Una grande torta con scritto 1974-2014, al centro una fotografia che lo immortala in mezzo a unafolla oceanica durante un live allo stadio Ferraris: il simbolo di un mondo, un pezzo di storia di questa città.
Sì, perché se dici Spera subito pensi alla musica, all’età dell’orodella grande musica dal vivo, quella delle adunate oceaniche, quella che per molti anni ha portato Genova al centro di tour mondiali. Istantanee che rimangono incollate nella mente come un adesivo che resiste allo scorrere del tempo perché «tutto è cambiato, il mondo dello spettacolo non è più quello di una volta, soffocato sempre più da regole e mancanza di spazi, ma le persone si aspettano tanto da noi. Abbiamo conquistato la loro fiducia, non possiamo deluderle», dice il promoter con una punta di orgoglio.
Sguardo scrutatore, innamorato di tutto quello che è cultura,sempre pronto a mettersi in gioco, Spera, che in passato ha portato in città nomi del calibro di Anastacia, Elton john, Eric Clapton, Lou Reed, Bob Dylan, Bruce Springsteen, Vasco Rossi, Peter Gabriel e tanti altri, nonhapersola voglia di osare ancora.
Ma la politica, giura, non c’entra.
«Non farei mai l’assessore alla cultura - sottolinea-ma la porta delle collaborazioni è sempre aperta. Continuerò a farmi sentire perché le amministrazioni lavorino per un vero rilancio culturale della città».
Uomo del sud, sorriso leggero da interprete di un film di Sergio Leone e voglia di rimboccarsi le maniche, quel sentimento che nel 1974 l’ha portato a salire sulla 128 verde della sua professoressa di inglese e a salutare la provincia di Salerno per dirigersi a Genova. Una storia tutta italiana, quasi cinematografica, quella di un ragazzo che si è costruito completamente da solo.
«Arrivai con la valigia di cartone, proprio come in un film - ricorda - nel dicembre dello stesso anno debutta i con il mio primo concerto.
Fu all’Aliseo, quello che oggi è l’attuale teatro della Tosse. Presentai Giorgio Gaslini e i Latte e Miele.
Allora la musica non era ancora un fatto industriale, c’erano poche regole.
Con in mano una locandina del concerto venni proprio nella sede del Secolo XIX e mi presentai, chiedendo se qualcuno poteva scrivere un articolo sul mio evento. Avevo diciott’anni e la faccia tosta…non scorderò mai chi ha creduto in me».
E poi quel rapporto con Genova, quell’alternanza fra amore e odio che però non l’h amai portato a mollare.
Anzi.
«Lo ripeto spesso: sono quarant’anni che siamo un po’ nomadi e instabili - spiega - la città, purtroppo, da molto tempo non ha più una progettualità nel settore della cultura.
Dopo l’addio alla possibilità di organizzare concerti al Ferraris, è cambiato tutto. Mancano le strutture, gli spazi. Ma nonostante questo non ci siamo mai arresi, come dimostrano i nostri cartelloni. La soddisfazione più grande? Quella di aver creato un rapporto diretto con lo spettatore che si fida di quello che
proponiamo». Non ha mai avuto peli sulla lingua e cerca sempre di guardare avanti, di capire e intercettare quali saranno i gusti del domani. «Avevo proposto all’ex assessore Andrea Ranieri un progetto per gli spettacoli in città, ma come al solito non si è mosso niente – svela - otto anni fa iniziai a presentare a tutte le istituzioni
locali la mia visione del Porto Antico: schermi giganti, sfere luminose, luci e un palco sull’acqua». Solo sogni?«Un progetto per il prossimo anno, in concomitanza con
l’Expo di Milano, c’è-conclude–tre palchi in tre diverse zone della città e un artista protagonista di tre diversi concerti.Unacosa mai vista al mondo. Vedremo…»

 fonte: Il SecoloXIX

Jovanotti annuncia 'Sabato', il nuovo singolo

Jovanotti ha scelto la sua pagina di Facebook per annunciare ai fan l'uscita del suo nuovo singolo: "Sabato", che sarà in vendita e on air a partire dal 16 dicembre 2014. Il brano anticiperà il nuovo disco di Lorenzo Cherubini, pronto - ha promesso il cantante il cantante - per essere distribuito a partire da febbraio 2015.

 
 

Annunciando l'uscita del primo brano, tratto dal suo nuovo lavoro ancora senza un titolo, Jovanotti ha mostrato anche l'immagine-copertina della canzone: un motorino rosso - il mitico Fifty - con il nome del cantante e il titolo del brano stampati sopra. La cover è stata realizzata da Sergio Pappalettera, su una fotografia scattata da Toni Thorimbert. "Non vedo l'ora di partire con questo nuovo viaggio", ha scritto Jovanotti su Facebook.

Roma Videoclip 2014: vincono i Tiromancino

Prodotto dalla Oblivion Production di Stefania Tschantret, "Mai saputo il tuo nome", ultimo video dei Tiromancino, diretto da Federico Zampaglione, ha ricevuto il premio come "miglior video italiano" al Roma Videoclip 2014, il più importante riconoscimento nazionale per i videoclip, tratti da colonne sonore o video musicali.

Il video, girato con lo stile del cortometraggio cinematografico, ha come attori: Carolina Crescentini, Adriano Giannini, Claudia Gerini, Sabrina Impacciatore, Francesco Arca, il campione europeo di boxe Emiliano Marsili e lo stesso Zampaglione.

"Ci sono creature che esistono solo di notte.ammalianti e sinuose lasciano dietro di loro una scia di mistero e seduzione...per poi svanire con le prime luci dell' alba. Questo è ciò che ho voluto raccontare in questo nuovo video", ha spiegato Federico Zampaglione, commentando la vittoria al Roma Videoclip 2014.

L’anno di svolta della Lirica

Risanamento dei conti con l’elaborazione di piani industriali, rinnovo dei vertici e degli statuti entro fine dicembre: quello che sta per chiudersi sarà ricordato come un anno di svolta per le 14 fondazioni lirico-sinfoniche italiane, chiamate negli ultimi mesi ad affrontare le modifiche organizzative e gestionali e le ristruttrazioni economiche stabilite dalla legge 112 del 2013 (la cosiddetta “Valore cultura”, emanata dall’ex ministro ai Beni culturali Massimo Bray), con l’obiettivo ambizioso di aumentare la produttività della lirica italiana e risanarne i conti disastrati, accentuando la natura imprenditoriale delle fondazioni, soggetti di diritto privato (ma per molti aspetti ancora legati a un modello pubblicistico), introdotti con la legge 367 del 1996.

Verso un nuovo modello gestionale

 

Nei mesi scorsi hanno fatto notizia soprattutto i travagliati processi che hanno portato 8 teatri lirici su 14 (quelli con la situazione economico-finanziaria più compromessa) a redigere i piani di risanamento triennali necessari per accedere ai fondi statali destinati a sanare almeno in parte l’ingente debito pregresso delle fondazioni: 125 milioni di fondo di rotazione più 23 milioni per anticipazioni a fronte di urgenze. Cinque di essi (Trieste, Firenze, Roma, Napoli e Bologna) hanno già avuto il via libera dei ministeri competenti (Beni culturali ed Economia) per ottenere i finanziamenti a tasso agevolato da restituire in 30 anni. A giorni è attesa la validazione da parte della Corte dei conti per l’erogazione dei primi 98,5 milioni. Per gli altri tre (Genova, Bari e Palermo) l’istruttoria è in fase di completamento.

Entro fine dicembre, inoltre, tutte e 14 dovranno rinnovare i propri statuti (tre lo hanno già fatto: Torino, Firenze e Palermo), e nominare i nuovi consigli di amministrazione, che dal 1° gennaio si chiameranno consigli di indirizzo e a loro volta designeranno i nuovi sovrintendenti. Due fondazioni, Scala di Milano e Accademia di Santa Cecilia di Roma, sono al lavoro in queste settimane per adeguare gli statuti a un’importante novità, attesa da tempo e sancita con un decreto ministeriale a inizio ottobre, ovvero il riconoscimento dell’autonomia gestionale.

Lo stato dell’arte

Per comprendere la portata del cambiamento introdotto dalla legge Bray – e dunque il livello di tensione che in diverse occasioni durante gli ultimi mesi è arrivato all’attenzione dei media e del grande pubblico – è utile ricordare alcuni numeri che danno l’idea della situazione in cui versa la lirica italiana. Un sistema «vivo ma fragile», come lo ha definito nella sua relazione in Parlamento, a fine ottobre, il commissario straordinario alla lirica Pier Francesco Pinelli, nominato un anno fa dal Ministero per mettere ordine nei conti dei teatri. Fragile perché dispone di risorse patrimoniali limitate e perché gravato da un debito pregresso che, negli anni, è cresciuto fino a raggiungere i 392 milioni nel 2013. Vivo perché capace di generare ricavi (quasi 520 milioni lo scorso anno, di cui tuttavia il 56% provenienti da fonti pubbliche) e perché negli ultimi anni ha saputo aumentare la produttività, anche se ovviamente la situazione è molto diversa da teatro a teatro.

fonte: Giornale dello spettacolo

Addio alla musica di Manuel De Sica

Addio alla musica di Manuel De Sica Autore di oltre 70 colonne sonore, fu candidato all’Oscar. Una carriera sulle orme del padre. di Porro Maurizio È morto d’improvviso ieri mattina a Roma, per attacco cardiaco, Manuel De Sica, a 65 anni: era un figlio d’arte che aveva sposato la carriera musicale, studiato a Santa Cecilia con Bruno Maderna e firmato oltre 70 colonne sonore, iniziando a lavorare nel 1968 a un film del padre, Amanti , con Mastroianni e Dunaway, e proseguendo con Lo chiameremo Andrea e Il viaggio . I funerali sono fissati per le 14.30 di oggi a Roma, alla Chiesa di Santa Pasca, all’Aventino. Figlio di Vittorio e di Maria Mercader (la «seconda» famiglia del regista), fratello di Christian con cui si esibiva in salotto da piccolo in abito da sera sotto la direzione paterna, zio di Brando e nipote dello zio materno Ramon Mercader (noto per l’assassinio di Trotzkij), Manuel si era assunto un lavoro in fieri , la coscienza storica del restauro delle opere di De Sica, oltre una dozzina, cercando sponsor per aiutare la sempre labile memoria collettiva italiana attraverso una Fondazione che ha promosso e continuerà a farlo i grandi titoli del neorealismo spesso anche con libri critici (il periodo sovvenzionato dalla Philip Morris). Come il fratello era un gran affabulatore, miniera di aneddoti come una ministoria del cinema sempre in diretta, anch’egli somigliante al padre in modo diverso. Coltivava il piacere del salotto ed era dotato di un innato,
brillante senso dello spettacolo che esprimeva attraverso la dolcezza delle sue musiche, sentimentali nel senso migliore (alcune sue canzoni sono state intonate anche da Ella Fitzgerald e Tony Bennett), cercando di far combaciare le sue emozioni di note con quelle del regista, accompagnando immagini, affetti, volti di attori amatissimi. Se la collaborazione in casa fu ottima e abbondante (la colonna sonora del Giardino dei Finzi Contini lo portò vicino all’Oscar), Manuel, nato il 24 febbraio 1949 a Roma, lavorò con la grande famiglia del nostro cinema del dopoguerra da Risi a Comencini, da Oldoini ai Vanzina, da Verdone a Nichetti, da Lizzani a Squitieri ma anche con Chabrol e Gene Wilder, alternando avventure, drammi e commedie, mettendosi al servizio delle storie, vincendo Globi, Nastri, David. Ma soprattutto aveva vinto la stima della gente che lo vedeva come il fratello più grande e «serio», meno popolare di Christian, con cui ebbe sempre un profondissimo legame, proprio perché diverso e complementare, con una complicità gemellare: ciascuno era un’anima diversa di papà Vittorio. Attivo anche in tv, come regista di un film e per una serie gialla con Tognazzi, il musicista Manuel, spinto agli inizi dal musicista Renzo Rossellini, ha lasciato ieri col suo tragico colpo di scena un doloroso stupore nell’ambiente. Testimoniato in rete da Christian, che ha postato sul suo profilo Facebook una foto di Manuel bimbo col papà, un tenerissimo cheek to cheek strappato a una memoria che da ieri non è più comune, con questo appunto: «Mio fratello Manuel non c’è più. Lo voglio ricordare così. Riposa in pace». Molto cordoglio sincero, da Ennio Morricone, che ne ha ricordato il talento, al ministro Franceschini, con cui Manuel aveva
collaborato di recente per il 40esimo della scomparsa di papà Vittorio. Come il padre, ma senza i tempi da pochade di allora, anche Manuel aveva avuto due famiglie: lascia Andrea, figlio della prima moglie Tilde Corsi, produttrice di Ozpetek, e una seconda, Maria Lucia Langella. E lascia anche composizioni da camera, un libro affettuoso di ricordi ( Dio figlio in padre , Bompiani), quell’immenso invisibile lavoro di recupero della memoria storica cioè «sporcarsi le mani» per combattere l?amnesia e salvare quella grande bellezza del cinema e della sua storia artistica e sociale dentro cui, come in un presente storico, Manuel ha avuto la gioia di vivere e che sintetizzava così: «Dal 1968 al 1974 con papà siamo andati al cinema tutte le sere e abbiamo ascoltato tanta musica»

fonte: Corriere della Sera

Alexander Pereira: Già trovati 6 milioni, farò grande la Scala.


NON sono venuto per fare il funerale alla Scala, ma per aiutarla a diventare sempre più grande. E con serenità, pazienza, ottimismo, ci riuscirò». All’indomani del successo del Fidelio , il sovrintendente Alexander Pereira si dice soddisfatto («L’ha scelto il mio predecessore, forse io avrei deciso diversamente, ma è certo un titolo giusto per un’inaugurazione») e non è nemmeno troppo preoccupato dalla crisi che stringe in una morsa le fondazioni liricosinfoniche: «Da quando sono arrivato ho trovato 6,3 milioni per la Scala dagli sponsor privati. Solo l’altra sera me ne hanno promessi 500 mila».
I nomi dei sostenitori, però, non sono ancora stati annunciati.
«Non c’è nessun mistero, solo una questione di riservatezza. Ho consegnato la lista al sindaco Pisapia. Voi italiani siete un popolo geniale, ma spesso troppo allarmista. È vero che il paese attraversa un periodo difficile, ma dal tunnel si può uscire. So di essere visto
un po’ male perché vado in giro a chiedere soldi. Ma la situazione è cambiata rispetto al passato: i responsabili dei teatri non possono limitarsi a spendere il denaro che ricevono in modo responsabile, devono anche fare fund raising ».
Quale è a suo parere la soluzione per superare la crisi?
«La sinergia tra pubblico, privato e incassi al botteghino. È importante che nessuno si tiri indietro, altrimenti il sistema crolla. Se Stato, Regione, Comune diminuiscono i contributi, anche gli sponsor si sfilano. Inoltre io cerco di introdurre quella che chiamo “la quarta gamba”».
Ci spieghi.
«Penso di creare delle fondazioni straniere di amici della Scala: in America c’è già, e sto lavorando anche in Russia, Cina, Inghilterra, Germania. A Salisburgo davano 1 milione di dollari l’anno. Perché non dovrebbero aiutare la Scala, che è un marchio ancora più prestigioso? ».
Si è parlato di soci fondatori intenzionati a ridurre il loro sostegno.
«Intanto Eni ha confermato i contributi. Certo c’è il problema della Fondazione Cariplo: la legge di stabilità prevede una tassazione che passa al 77%. Ma sono convinto che si arriverà a un compromesso».
Oltretutto lei è intenzionato ad aumentare le produzioni.
«Nei tre anni precedenti sono stati realizzati solo 13 nuovi allestimenti. Io voglio arrivare a fare 45 opere (65 col balletto) nel triennio, e un terzo devono essere nuove produzioni. Costerà di più, ma è l’unico modo per salvaguardare l’altissima professionalità dei tecnici scaligeri, che altrimenti vedrebbero messo a rischio il loro posto di lavoro».
Si è molto discusso sulla questione del repertorio italiano, che alla Scala ultimamente sarebbe stato trascurato.
«Per me è una priorità assoluta. Dei 15 nuovi spettacoli la metà saranno italiani. Non è provincialismo, significa valorizzare il vostro patrimonio conosciuto in tutto il mondo. E bisogna ampliarlo il più possibile. Faccio alcuni nomi: alla Scala non si fanno mai L’amico Fritz di Mascagni o La Siberia di Giordano ».
Cosa pensa delle proteste fuori dalla Scala.
«È stato un peccato, anche se non erano contro il teatro. Ma io sto lavorando per far capire che la Scala non è solo per i ricchi, ma per tutti quelli che amano la musica. In quest’ottica più sociale e vicina alla gente vanno considerate le iniziative per i bambini (stanzierò 300 mila euro), per gli under-30 (200 euro), per l’Accademia di cui diventerò presidente (1,250 milioni di euro)».
Lei ha realizzato tante “prime”. Ha trovato diversa l’atmosfera alla Scala?
«È la più famosa inaugurazione del mondo, nessun altro teatro ha una data fissa per l’apertura di stagione. Anche in Svezia mi chiedono come è andato il 7 dicembre. Sì, è qualcosa di speciale, ma bisogna anche avere l’equilibrio per riportarla a una maggiore normalità ».

fonte: R2 Spettacoli & TV

Milano, assedio alla Scala, centri sociali in piazza caos e scontri con la polizia.

Due ore e mezza di scontri e tensione. Tre spezzoni di antagonisti, due cariche della polizia, tre contusi da una parte e due carabinieri finiti all’ospedale. Non era la solita «prima» di protesta, non poteva esserlo per i focolai di rabbia sociale accesi da almeno un mese nelle periferie di Milano, tra resistenza agli sgomberi di abusivi nelle case Aler e assalti alle sedi di partito. Annunciato da uno striscione anarchico appeso sopra l’ingresso della Galleria Vittorio Emanuele che dà sul Duomo («Occupiamo le case vuote. Basta sgomberare»), il primo attacco antagonista a piazza della Scala è andato in scena in via Santa Margherita, uno degli accessi al teatro, dove quaranta militanti di centri sociali e comitati per la casa sono venuti due volte a contatto col cordone di polizia. Lancio di uova e petardi da un lato, manganellate (due contusi) dall’altro e un’ora di presidio. Poi la scena se la sono presa gli anarchici, dopo aver divelto alcune delle transenne che proteggevano il teatro, stretti a tenaglia dagli
agenti che hanno recuperato una molotov, già pronta. Infine, quando il fronte si è compattato con l’ingresso dalla Galleria degli altri contestatori, ecco la carica più dura della polizia, proprio sotto Palazzo Marino, la sede del Comune. L’onda è violenta, un manifestante cade e rischia di essere travolto, volano oggetti e bengala contro i carabinieri anche quando la contestazione si riprende, per un attimo, le transenne. Ci vuole una mezz’ora buona di trattativa, e un corteo autorizzato attraverso la Galleria — dove i passanti seguivano il Fidelio sul maxischermo — e fin sotto il Duomo perché la protesta lasci la piazza e sciami via in metrò. Critiche alle proteste arrivano dal ministro della Cultura Franceschini («Un danno economico per il Paese»), dal governatore Maroni («Come rovinare una festa»), dal sindaco Pisapia («Le proteste non diventino violenze»), non dall’ex ministro Passera («Sbagliato prendersela con loro»).

fonte: La stampa

Sulle note di “Oro” Mango muore durante il concerto

La morte, quando decide, non siguarda intorno e non bada alle convenienze.
Ma con Pino Mango ha fatto un’eccezione, e per portarselo via ha scelto unmomento fortemente
simbolico, un concerto: ha aspettato con pazienza l’applauso per la celebrazione dei trent’anni di Oro, che nel 1984 gli aveva dato la prima fama, e gliela ha lasciata cantare con le sue belle preziosità vocali in bella vista, come purtroppo si evince dal video che sta girando min rete e del quale si farebbe graziosamente
a meno. Gli ha poi mlasciato il tempo di chiedere scusa, per quel malore che stava salendo me non avrebbe lasciato più tempo. Poi, tutto finito. Il tonfo, la corsa inutile all’ospedale, e da quel momento il tempo che si vuole per noi, per ragionare sull’assurdità mdi muna fine simile, moppure al contrario discettare su un finale di partita giusto e che lo avrebbe fatto (compatibilmente) contento, uno come lui che della musica aveva fatto il centro della vita, e pazienza se l’oggi non era più d’oro puro come cantava invece quella sua canzone con il testo di Mogol.
Sono momenti magri per tutti, e come ogni cantautore di razza Mango soffriva l’ansia di lavorare il triplo per risultati modesti. Si era anzi appena confessato a
Radio Due della troppa stanchezza, aveva parlato dei chili accumulati con i sessant’anni suonati appena un mese fa, e di quelle due ore per ogni concerto che sembravano non finire mai: anche perché lui dentro ci metteva tutta l’anima. Con la cura della discografica Mara Maionchi, che lo aveva scoperto, era diventato celebre e rispettato per la sua tecnica interpretativa. Un falsetto dolce, di petto, sapiente e non zuccheroso, che lo aveva portato molte volte a Sanremo, gli aveva regalato successi come Bella d’estate (testo di Dalla) o Lei verrà. Trasportava le canzoni su territori non convenzionali.
Guardava ai mondi Sullenotedi “Oro” Mango muore durante il concerto Il cantautore stroncato da un infarto a 60 anni Stava celebrando i 30 anni del suo brano più famoso che circondano come una corona a rovescio la nostra penisola, riempiva la gola di riferimenti alla vocalità araba e nordafricana, si faceva ponte fra le culture. Un militante della worldmusic. Aveva anche scritto per altri colleghi, spesso con il fratello Armando: da Mia Martini al la Berté, che cantò la sua Re scandalizzando Sanremo con il pancione, da Patty Pravo a Mietta. Era,Mango, una bella persona.
Un uomo solare e modesto, che credeva più nella musica che nel successo. Non a caso la morte se l’è portato via poco lontano dalla sua casa di Lagonegro, a Policoro, in un concerto dedicato alle speranze di pace e
integrazione razziale. L’ultimo album, L’amore è invisibile era uscito alla fine di maggio. Tre inediti e un’infilata di autentiche riscritture di pezzi celebri come One degli U2: «Mi piacerebbe sapere cosa ne pensa Bono»,mi aveva detto proprio in occasione di quell’uscita. Nel disco ci sono i tamburi del figlio diciannovenne
Filippo, le voci della figlia Angelina, 14 anni, e della moglie amore di una vita Laura Valente, a sua volte brava vocalist, già solista e voce femminile dei Matia Bazar subito dopo mAntonella Ruggiero. Una famiglia tutta musicale, stanziata nel buen retiro della nativa Lagonegro, da ieri priva del suo motore.

fonte: La Stampa

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