Una tassa a favore della cultura? Prendiamo sul serio l’idea di Parigi
- Scritto da Segreteria Assomusica
- Pubblicato in Attualità
15 maggio 2013 - Legare al collo della cultura la macina da mulino delle tasse sembra a prima vista il colpo di grazia, il metodo migliore per sostituire l'indifferenza infastidita - che è oggi il sentimento popolare prevalente verso tutto ciò che di cultura abbia un vago sentore - con una dichiarata ostilità. I benpensanti devono farsene una ragione: all'Italia la cultura non va tanto giù, non è sentita, non muove gli animi, non scalda i cuori.
È stata per troppo tempo associata con il privilegio di pochi e l'esclusione di molti. Appannaggio una volta dei signori, così brevemente intesi, sostituiti più di recente da accademici altezzosi, da lagnosi questuanti, da finti entusiasti, da buonisti ipocriti. La gente comune - quella che, secondo Lincoln, Dio deve amare molto, visto che ne fa tanta - guarda con fondata diffidenza agli alti lai, agli appelli, alle proteste di attori, cantanti, scrittori, cosiddetti operatori culturali, categorie che associa volentieri all' otium signorile, specie quando si autofregiano del titolo di lavoratori.
È una triste e lunga storia. Lo stato unitario, che contava diciassette milioni di analfabeti su una popolazione di ventidue, aveva altre urgenze, l'istruzione elementare in primo luogo. E altre convinzioni: riteneva che la cultura non dovesse essere per tutti, ma instrumentum regni, nelle mani esclusive della classe dirigente, come poi in effetti è stato. La Repubblica si è soprattutto preoccupata di dare agli italiani un po' di prosperità, finché ha potuto. Nel frattempo la cultura doveva aspettare tempi migliori. I quali naturalmente non sono mai venuti e quando anche la prosperità è evaporata si è dato inizio alla raschiatura del barile. Grossolana e brutale, bisogna dire, ma nella sua rozzezza giustificata a posteriori dalla inconcludenza retorica delle indignate reazioni. Questo è il desolato paesaggio italiano su cui cade la notizia che in Francia il governo intende finanziare la cultura attraverso una tassa sui telefonini, non è chiaro se sugli apparecchi o sul fatturato delle aziende di telefonia o su entrambi (ma non fa molta differenza, visto che a pagare sarà comunque il consumatore).
Si può fare altrettanto in Italia? Accidenti, no! (Prima e vibrata reazione) Un'altra tassa! Come si può vessare un consumo popolare per sussidiare un mondo e un comportamento elitario? Per non parlare di Hollande, con i suoi goffi modi e i suoi istinti punitivi! E tuttavia... Innanzitutto questo sarebbe un segno. Una decisione, finalmente, invece di infiniti rattoppi e pianti silenziosi. Un segno di volontà politica, di non fermarsi ai lamenti e di non arrendersi alle forze maggiori. Il segno dell'importanza attribuita davvero alla cultura. Al punto di sfidare apertamente l'impopolarità pur di fare intendere a tutti cittadini che la cultura è cosa loro, di tutti loro, ma che non piove dal cielo e che vi sono costi che vanno sostenuti oggi. A rischio altrimenti di perdere senza rimedio una parte molto rilevante della nostra eredità collettiva. Confessando anche, francamente, che si è sbagliato, molto sbagliato, ma che se si attendono i benefici risultati dei ravvedimenti (supposti? sperati? auspicati? attuali?) si rischia di arrivare troppo tardi. Siamo, anche qui, una cicala che cerca di trasformarsi in una formica.
Operazione difficile, ma sempre meglio che morire. In secondo luogo una chiara ed esplicita assunzione di responsabilità. Perché non sarebbe possibile, dopo aver istituito una tassa così direttamente finalizzata, nascondere i soldi, disperderli in mille rivoli, farli in sostanza sparire. Occorrerebbe dire quanti di preciso sono, come si intende impiegarli e con quali priorità. Verrebbe così in luce la semplice verità che tutto non si può fare, il nebuloso concetto di scelta acquisterebbe una sua concretezza e si inizierebbe a ragionare su che cosa va incrementato e che cosa diminuito o eliminato, anziché proseguire con la falciatrice dei tagli lineari. In terzo e ultimo luogo si potrebbe - incredibile a dirsi - parlare di investimenti. Che non vuol dire credere che la cultura si trasformi in denaro dalla sera alla mattina, cosa propria del campo dei miracoli di Pinocchio. Al contrario significa pensare ai tempi lunghi, capire che investendo in cultura si migliora la materia prima umana, l'unica che non conosce inflazione, deprezzamenti e crolli. Se questo è il fine anche una nuova tassa può persino diventare accettabile. Certo è seccante che l'idea sia venuta a Hollande...
Ultimi da Segreteria Assomusica
- ASSOMUSICA PROSEGUONO LE ATTIVITÀ DELL’ASSOCIAZIONE A SOSTEGNO DELLA MUSICA LIVE
- DOLORE E CORDOGLIO PER L’IMPROVVISA SCOMPARSA DEL PRESIDENTE VINCENZO SPERA
- Stati Generali della Musica: Assomusica, Afi, Fem, Fimi, Nuovo Imaie, Pmi e Siae consegnano un documento al sottosegretario al Ministero della Cultura Gianmarco Mazzi
- L’APPELLO DI ASSOMUSICA SULLA 18app: NON SI BUTTI AL VENTO UN ISTITUTO CHE FUNZIONA
- Assomusica alla Milano Music Week: CODICE DELLO SPETTACOLO PRIORITÀ, EMERGENZE ED ESIGENZE DEL SETTORE DEL LIVE MUSIC