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Segreteria Assomusica

Un rapporto definisce l’industria della cultura

24 Luglio 2013 - C’è qualcosa, nel panorama produttivo italiano, in grado di far riemergere l’Italia.
E’ immateriale, non delocalizzabile, capillare e creativo.
E’ in grado di competere con tutti i prodotti delle economie emergenti senza sfidarli direttamente, semplicemente perché rappresenta la valorizzazione della straordinaria unicità del nostro paese. 
Cos’è? La cultura.
Termine vago che può indicare mille cose. Se legato però agli aspetti produttivi ecco che prende forma e si concretizza in una marea d’opportunità. La capacità di caratterizzare con la bellezza tutti una serie di oggetti realizzati dagli artigiani del XXI secolo, l’abilità nel riscoprire le peculiarità architettoniche, artistiche ed enogastronomiche rappresentano tutte possibili materializzazioni dell’abilità del “saper fare”. Una cultura più dinamica e vitale, non legata esclusivamente alle realtà museali: un’esposizione permanente intrisa di passato e condita di futuro.Tutto questo è emerso nel rapporto 2013 “Io sono cultura – L’Italia della qualità e della bellezza sfida la crisi”, realizzato da Unioncamere (Camere di Commercio d’Italia) e da Symbola- Fondazione per le qualità italiane) con la partnership della regione Marche.I numeri parlano chiaro: le imprese impegnate nella cultura, secondo i dati del 2012, sono 460.000 (il 7,5 % delle attività economiche nazionali). Aziende che generano 75,5 miliardi di valore aggiunto (il 5,4 % del totale) e che impiegano il 5,7% degli occupati del paese (1,5 milioni di persone). E’ anche un’importante risorsa anticiclica: il valore aggiunto della cultura anche in questo periodo di crisi non solo ha resistito ma ha guadagnato terreno. In quest’edizione del rapporto è stata messa in evidenza anche la “capacità moltiplicativa” del sistema produttivo culturale, misurando l’effetto traino su altre aree dell’economia. Il “moltiplicatore” è pari a 1,7: per ogni euro di valore aggiunto ne attiva – nel commercio, nel turismo, nei trasporti (ma anche nell’edilizia e nell’agricoltura) altri 1,7. In numeri: 80,8 miliardi di valore aggiunto (tenuto anche in considerazione anche dei 5,8 della pubblica amministrazione e del settore non profit) ne attivano altri 133. Tra “diretto” e “indotto”  si arriva a 214,2 miliardi, il 15,3 % dell’economia nazionale. Le potenzialità del sistema culturale italiano si possono esprimere in molti modi, anche attraverso strade finora poco esplorate da designer, piccoli artigiani, creativi e industrie, artisti e stilisti, makers “smanettoni” e contadini. Soggetti che rappresentano il lievito del saper fare italiano e della capacità irripetibile di incorporare nei nostri prodotti la bellezza che “respiriamo”. Ecco qualche spunto emerso dalla lettura dell’approfondito lavoro di ricerca. 

DESIGN 
Il design è la disciplina trasversale che dà forma al mondo. Qual è il suo ruolo nel sistema dell’economia culturale in Italia? Da quando evidenzia il rapporto emerge il ruolo guida delle aziende “Design Driven” in Italia, caratterizzate dall’innovazione e dal dinamismo. Sono organizzazioni che operano nel campo della moda, del design, dell’artigianato e del gusto. Il loro fatturato oscilla intorno al 5% del PIL nazionale, una percentuale apparentemente modesta che però in termini di ricaduta d’immagine sul nostro paese assume un valore esponenziale e trainante difficilmente quantificabile. Una realtà che però si scontra con la grande frammentazione del sistema produttivo, caratterizzato da piccole imprese. Emerge chiaramente una tendenza, quella del design “autoprodotto”: designer-artigiani che producono direttamente senza ricorrere a imprese. Oppure aziende-design in grado di mettere in collegamento i designer con i clienti senza però occuparsi della produzione. 

I TIPI D’IMPRESA E LA LORO LOCALIZZAZIONE IN ITALIA 
Lo studio ha permesso di evidenziare quelle che sono le relazioni tra cultura ed economia, avvenuta identificando 4 aree di produzione: industrie culturali (come la cinematografia, la televisione, l’editoria e l’industria musicale); industrie creative  (tra le quali le aziende export oriented che puntano sul design e sullo stile per essere competitive sui mercati internazionali); organizzazioni che lavorano per la valorizzazione del patrimonio storico-artistico architettonico (che lavorano per la sua conservazione, fruizione e utilizzo economico); performing arts e arti visive (le attività che, per la loro natura, non si prestano ad un modello di organizzazione di tipo industriale).Analizzando il contributo della “imprenditoria culturale” in ogni macro-ripartizione e regione, emerge il ruolo del Nord-Ovest e del Centro Italia (rispettivamente 8,4 e 8,3% del totale imprese). Nel dettaglio, la Lombardia risulta in testa alla graduatoria per incidenza delle imprese culturali (le 88mila imprese rappresentano il 9,2% dello stock complessivo regionale), seguita dal Lazio, dove le quasi 54 mila unità individuate corrispondono a una incidenza dell’8,7%. La prima provincia per presenza di industrie culturali sul totale delle attività economiche è Firenze. 

START-UP E DINTORNI
Un ulteriore parte dettagliata è dedicata a due problemi molto sentiti: la capacità dell’azienda di strutturarsi per affrontare i mercati e lo sviluppo dell’impresa nelle fase iniziali. Limiti che non permettono a molte realtà di “sfondare” nei mercati più promettenti. Le soluzioni? L’assistenza di manager capaci, le reti d’impresa e il cooworking. Accanto all’impresa che crea utili c’è però anche quella no-profit, con tutte le problematiche che riguardano soprattutto la raccolta dei fondi. 

FORMAZIONE
Attenta anche l’analisi della formazione delle persone che lavorano in questo settore. Il rapporto evidenzia uno “scollamento” tra la formazione e le realtà operative. Le professionalità che il mondo culturale richiede sono diverse e si devono occupare di una complessità multidisciplinare nella quale gli aspetti di marketing, gestionali e giuridici non sono indifferenti. 

EUROPA
Il rapporto ha anche analizzato quelle che sono le interazioni tra l’Europa e la cultura, evidenziandone l’atteggiamento riguardante l’importanza stratetica di questo settore e i meccanismi di erogazione dei fondi a sostegno delle aziende che operano in questo campo. 

ESEMPI POSITIVI 
Tra le aziende citate come esempio positivo c’è Eataly, la creazione di Oscar Farinetti dedicata al cibo d’alta qualità. Un’azienda che si è basata sulla filosofia “slow food” sviluppata da Carlo Petrini. Validissimo esempio di come sia possibile sviluppare il sistema “di nicchia” del cibo senza perdere di vista la qualità. Altro esempio è Arduino, piattaforma hardware e “open” sviluppato in Italia da Massimo Banzi. 

SALONE E FUORISALONE
Cambiano anche le modalità espositive. Un esempio classico è quello del “fuorisalone” di Milano. Sviluppatosi come alternativa più cittadina rispetto al salone del mobile, quest’evento ha saputo nel tempo ritagliarsi una sua identità ben precisa. Se il salone classico è uno spazio formale e “serio” il suo antagonista cittadino offre spazio alla creatività, dando modo alle imprese e ai designer di esplorare nuovi campi con più coraggio. 

FOCUS: L’INDUSTRIA CULTURALE MARCHIGIANA
La Regione Marche è stata oggetto di una ricerca più approfondita. Dai dati emerge l’elevato numero delle industrie creative (rappresentano il 75% del totale). Tra esse ha una grande importanza l’artigianato: su 9.885 imprese ben 4.231 operano in questo campo. Pesano e Urbino sono i grandi “poli”, con una notevole concentrazione di imprese creative. Le realtà imprenditoriali legate alla cultura hanno anche la peculiarità di essere più giovani e a maggiore presenza femminile rispetto alla media nazionale. Notevole è inoltre la propensione degli imprenditori marchigiani a “fare rete”. Un aspetto che deve far riflettere circa il livello strategico della cultura per lo sviluppo della regione marchigiana è il suo stretto legame con l’attrattività turistica dell’area.Le Marche sono la prima regione in Italia per quota di spesa turistica attivata dalla componente culturale.

PER SAPERNE DI PIU’
Per leggere tutto l’interessante e corposo rapporto si può visitare il sito www.unioncamere.gov.it, nella sezione “primo piano”. Sono 213 le pagine ricche anche di tabelle e dati che aiutano a comprendere le potenzialità dell’uso produttivo della cultura in Italia. 

 

Fonte: www.lastampa.it

 

 

Milano, notte di musica e dibattito per la legge sui concerti 'liberi'

23 Luglio 2013 - La burocrazia uccide la musica dal vivo nel nostro paese. Serve una legge che renda più facile organizzare concerti nei piccoli locali. Magari sostituendo permessi e richieste con l'autocertificazione. C'è già un emendamento presentato in questi giorni da due parlamentari al "decreto del fare". Per questo l'ex assessore alla Cultura di Milano, Stefano Boeri, ha riunito per una serata di musica e discussione, al Teatro Parenti, musicisti, imprenditori ed esponenti politici. Compreso il ministro della Cultura, Massimo Bray, intervenuto in collegamento, che si è impegnato a fare sua questa battaglia.


di Antonio Nasso

Fonte: www.repubblica.it

Clicca qui per il servizio completo

Per l'Expo Milano punta sulla musica dal vivo

23 luglio 2013 - La serata-dibattito sullo stato della musica "live" nel nostro Paese che si è svolta ieri al Teatro Parenti di Milano " per far crescere le nostre città" si potrebbe riferirla anche alla riuscita dell'evento dell'Expo. E' giunto il momento in cui serve una legge sulla musica dal vivo, un intrattenimento necessario in vista dell'arrivo di circa venti milioni di turisti nei sei mesi della durata dell'Expo. Servirebbe cambiare i modi e i toni dei concerti, acustici e non, che potrebbero darsi anche nelle gallerie d‘arte e nelle librerie, oppure ovunque ci sia possibilità di avere un palco.

Il dibattito ieri sera ha preso le mosse dalla lettera aperta dell'ex assessore alla cultura del comune di Milano Stefano Boeri nella quale chiedeva alle istituzioni di intervenire con una legge. Come già successo e con rapido sviluppo economico, in Gran Bretagna, sempre per garantire lo sviluppo della musica e della cultura in generale. Tante le idee e le richieste formulate al Ministro della Cultura Bray in collegamento video, a partire dalla costituzione di un gruppo di lavoro che ponga le basi per una legge-quadro sullo spettacolo.

Una legge che preveda per i grandi eventi la depenalizzazione del reato di disturbo della quiete pubblica e stabilire una nuova normativa sui decibel e zonizzazione acustica e non ultimo creare uno sportello unico per semplificare le procedure di autorizzazione ai live. In sintesi per chi intende lavorare con la musica occorre una norma che istituisca una categoria specifica, di "piccole imprese creative", sul genere delle cooperative, prevedendo una gestione agevolata. Come detto il modello più citato è quello del "Live Music Act" , grazie al quale dall'entrata in vigore, dallo scorso Ottobre a oggi, in Gran Bretagna hanno aperto 23mila nuovi locali dove ascoltare musica dal vivo, poiché liberalizza gli eventi con meno di 200 spettatori entro le ore 23 e incentiva le formazioni che si esibiscono in acustico. Invece in Italia fare musica dal vivo è sempre più difficile a causa di permessi, licenze, autorizzazioni che rendono complicato e oneroso organizzare momenti "live" per chi li fa e chi li ospita.

Gli operatori del settore hanno richiesto l'introduzione e la possibilità di autocertificazione per concerti entro i 200 spettatori, un tetto massimo di incasso e un limite di orario.

Il ministro Bray, per anni nel board della " Notte della Taranta di Melpignano" il più grande Festival europeo di musica popolare, si è trovato a suo agio nell'ascoltare le richieste, in gran parte condivise. Si è detto "convinto che il Paese abbia bisogno di una legge che regoli non solo lo spettacolo dal vivo, ma l'intero sistema". A tal scopo sta predisponendo "gli strumenti di conoscenza, condivisione e lavoro necessari per raggiungere questo obiettivo, che voglio realizzare insieme a tutti i soggetti che compongono la filiera musicale."

Come detto è un discorso che viene utile a tutte le città e in particolare a Milano in prospettiva Expo, allorquando sarebbe impensabile proporre ai turisti l'attuale funzionamento della città più a misura di uffici del terziario.

E' immaginabile il valore commerciale che comporta ogni serata e pernottamento in più trascorso in città da parte di ciascun turista in arrivo: ovviamente deve trovare una situazione viva e ricca di offerte, altrimenti la città non sarebbe "appetibile" tanto quanto il tema dell'Expo.

 

Fonte: www.ilsole24ore.com

Imposta sulle transazioni finanziarie: 11 Paesi europei – tra cui l’Italia - fanno da apripista

 

11 luglio 2013 - A marzo 2011, a seguito della crisi globale che ha contagiato l'economia reale con gravi conseguenze per la crescita, l'occupazione e le finanze pubbliche, il Parlamento Europeo approvò l'introduzione di una Tassa sulle Transazioni Finanziarie (TTF) capace di portare nelle casse pubbliche dell'Unione circa 200 miliardi di euro ogni anno e contribuire alla riduzione delle attività speculative.

 

 

Consci della difficoltà di introdurre tale tassa a livello mondiale, i deputati europei chiesero che si applicasse la TTF a livello europeo come primo passo, valutandola un'imposta progressiva e socialmente equa nonché il miglior strumento a disposizione per trasferire gli oneri dai contribuenti al settore finanziario.

 

 

A settembre 2011 la Commissione ha risposto presentando una proposta legislativa per l'introduzione dell’imposta a livello di Unione.

 

Dopo mesi di negoziati tra gli Stati membri è apparso però chiaro che un'adozione all’unanimità in tutti i paesi europei sarebbe stata impossibile.

 

Da ciò la scelta di seguire il percorso che prevede l’avvio della TFF da parte di un gruppo di Stati membri, mediante la procedura di cooperazione rafforzata.

 

 

Sono 11 gli Stati europei (Germania, Francia, Italia, Spagna, Polonia, Austria, Finlandia, Grecia, Slovenia, Belgio e Portogallo) che hanno deciso di procedere all'introduzione della TTF avvalendosi della procedura di cooperazione rafforzata per la prima volta in ambito fiscale.

 

 

Nei giorni scorsi il Parlemento europeo ha dato il via a questa procedura: sarà soggetta ad imposta ogni singola transazione sugli strumenti finanziari emessi da entità site nel territorio di uno Stato membro partecipante.

 

Una volta applicata dagli 11 Stati membri, si stima che la TTF produrrà entrate per un valore di 30-35 miliardi di euro l’anno.

 

di Francesca Balzani

Fonte: www.francescabalzani.it

2014-2020: raggiunto l’accordo sul bilancio. 960 miliardi per rilanciare l’Europa

11 luglio 2013 - Il Parlamento europeo ha dato il via libera ai termini dell'accordo sulle prospettive finanziarie che verrà ratificato nella seduta plenaria di settembre-ottobre.

L'accordo prevede la disponibilità di 960 miliardi di euro in impegni e 908,4 miliardi di euro in pagamenti nel settennato 2014-2020.

Una soluzione di compromesso che tiene conto del fatto che, a causa della crisi economica, gli Stati contributori diretti del bilancio europeo hanno già realizzato tagli in tutti settori dei bilanci nazionali e locali.

Il Parlamento, dopo due anni di intenso negoziato, è riuscito ad ottenere la possibilità di rivedere questi importi nel 2016, anno in cui è previsto un rilancio economico che darà agli Stati, al Parlamento e alla Commissione l’occasione d'investire di più nel bilancio europeo, che è un bilancio di investimenti e non di spesa.

Inoltre, grazie al Parlamento europeo, verranno anticipati 6 miliardi nel periodo 2014-2015 da investire in misure per fronteggiare la disoccupazione giovanile, tema critico per l'intera Europa, a cui verrà dedicato ogni singolo euro non speso all'interno degli altri programmi.

Saranno inoltre anticipati stanziamenti destinati a programmi come Orizzonte 2020 per la ricerca e l'innovazione, Erasmus e COSME (programma per le piccole e medie imprese). 

Il programma per l'aiuto alimentare agli indigenti, in Italia gestito dal Banco alimentare, sarà aumentato di 1 miliardo per un totale di 3,5 miliardi.

Infine, è prevista una road map per studiare un sistema di risorse proprie che permetta al bilancio europeo di dotarsi di fonti di finanziamento indipendenti dagli Stati membri, strumento fondamentale in assenza di un quadro economico stabile all'interno dell'Unione.

di Francesca Balzani

Fonte: www.francescabalzani.it

Le cooperative: cruciali per contenere e superare la crisi

 

11 luglio 2013 - In Europa sono attive 160.000 imprese cooperative di proprietà, appartenenti a 123 milioni di soci che danno lavoro a 5,4 milioni di persone.

 

Circa 50.000 di esse operano nell'industria e nei servizi e occupano 1,4 milioni di persone.

 

Le sole cooperative "sociali" specializzate nell'inserimento nel mondo del lavoro occupano oltre 30.000 persone svantaggiate e con disabilità nei settori secondario e terziario.

 

In termini economici le cooperative contribuiscono, in media,  per il 5% al PIL di ciascuno Stato membro.

 

 

In tempi di crisi, le cooperative si sono dimostrate più resistenti delle stesse imprese tradizionali, sia in termini di tasso di occupazione, sia di chiusura aziendale, dimostrando di sapere assumere responsabilità imprenditoriali.

 

 

Il Parlamento europeo ha votato una relazione in cui chiede che le cooperative siano pienamente inserite negli obiettivi della politica industriale dell'Unione, nelle sue azioni e nei suoi programmi, considerato il loro fondamentale contributo alle ristrutturazioni industriali per il rilancio dell'economia europea.

 

 

L'Unione deve riconoscere e trattare in maniera paritaria, attraverso disposizioni legislative, le diverse forme d'imprenditoria per far rispettare il principio della libertà imprenditoriale, a prescindere dallo statuto d'impresa.

 

 

Inoltre, il bilancio dell'Unione europea e la Banca europea degli investimenti, devono prevedere fonti di finanziamento che garantiscano il trasferimento di un'impresa ai dipendenti mediante la creazione di una cooperativa.

 

Infatti il ricorso ai worker buy-out – vale a dire la pratica per cui le aziende in crisi vengono rilevate dai dipendenti - sta diventando sempre più diffusa in Europa e la forma cooperativa è quella che permette di salvare molti posti di lavoro.

 

Anche per questo l’accesso ai finanziamenti agli istituti di credito cooperativo e alle cooperative devono essere migliorati alla stregua dei servizi per le PMI

di Francesca Balzani

Fonte: www.francescabalzani.it

La Croazia entra a far parte dell’Unione europea. E' il 28º stato membro

 

11 luglio 2013 - Il primo luglio la Crozia è entrata ufficialmente a far parte dell'Unione europea diventando il 28esimo Stato membro, dopo dieci anni di lavoro e sei di negoziazioni.

 

 

Per festeggiare questo importante traguardo si è svolta all’apertura della sessione plenaria di Strasburgo una cerimonia di benvenuto a cui hanno preso parte il Presidente del Parlamento europeo Martin Schulz, il premier croato Zoran Milanović e i nuovi europarlamentari croati.

 

 

Gli edifici centrali del Parlamento europeo hanno inoltre ospitato per l’occasione la mostra fotografica “Welcome Croatia”: 38 immagini del fotografo Damir Fabijanić che mostrano la diversità e la ricchezza culturale e naturale della Croazia.

 

 

Durante il discorso di apertura il premier Milanović, ricordando questi dieci anni di lavoro per portare la Croazia nella Ue, ha affermato: “Il 2 luglio è un nuovo giorno: augurateci la più grande fortuna!”.

 

La Croazia - 4 milioni 285 mila abitanti (0,8% della popolazione Ue), oltre 56.000 km di superficie (e più di 4.000 km di coste e 1.200 isole) - è, dopo la Slovenia, la seconda delle sei Repubbliche che componevano la ex Jugoslavia socialista ad aderire all’Unione europea. I negoziati di adesione, partiti nel 2005, si sono conclusi nel 2011. Nel gennaio del 2012 il 66% dei cittadini croati si è pronunciato a favore del Trattato di adesione, ratificato poi da tutti i 27 paesi membri.

di Francesca Balzani

Fonte: www.francescabalzani.it

Bilanci societari: semplificati e razionalizzati. In particolare per le PMI

19 giugno 2013 - Le direttive contabili che regolano i bilanci annuali e i bilanci consolidati delle società di capitali in Europa sono, nel complesso, valutate positivamente dalle parti interessate (redattori, utilizzatori dei bilanci, autorità pubbliche).

Tuttavia, la redazione del bilancio rimane per le imprese europee uno degli obblighi di regolamentazione più impegnativi. Le piccole imprese, in aggiunta, sono soggette ad oneri amministrativi proporzionalmente maggiori di quelli che gravano sulle imprese medie e grandi.

Gli eurodeputati hanno quindi valutato positivamente la proposta legislativa della Commissione Europea diretta a rendere più agevole la redazione di tale strumento. Una razionale semplificazione degli obblighi esistenti, infatti, può ottimizzare il funzionamento del mercato unico, migliorare l'accesso alla finanza, ridurre il costo del capitale e aumentare i livelli degli scambi transfrontalieri e le attività transfrontaliere di fusione e acquisizione.

In termini più generali, il fine della proposta sostenuta dal Parlamento europeo è quello di rafforzare la competitività dell'Europa, creando un ambiente normativo favorevole alla crescita, all'occupazione e allo sviluppo dell'imprenditorialità.

In tale ottica, gli eurodeputati hanno ritenuto valida la proposta di introdurre un regime specifico per le piccole imprese, che ridurrà notevolmente gli oneri amministrativi gravanti sulle stesse al momento della redazione dei bilanci.  Al contempo, la standardizzazione a livello europeo delle "soglie" per la definizione di piccola impresa faciliterà l'armonizzazione in tutto il territorio europeo dei benefici del contenimento degli oneri amministrativi.

Il Parlamento europeo non ha comunque trascurato le imprese medio-grandi, per le quali ha chiesto un ampliamento dei criteri di comparabilità e chiarezza. 

di Francesca Balzani

Fonte: www.francescabalzani.it

Una nuova agenda per la politica europea dei consumatori

19 giugno 2013 - Secondo il Trattato dell'Unione europea, gli interessi dei consumatori devono essere tenuti pienamente in considerazione in tutte le politiche pertinenti dell'Unione.

Recenti studi hanno rilevato la necessità di conferire al consumatore crescente capacità decisionale nella sua relazione con i mercati: ciò comporta maggiore responsabilizzazione, informazioni trasparenti, approfondimento dei diritti e accesso semplificato ai mezzi di ricorso.

Per rispondere a queste esigenze, la Commissione europea nel 2012 ha presentato un progetto per una nuova agenda europea dei consumatori 2014-2020, approvato dal Parlamento europeo nell’ultima sessione plenaria di Strasburgo.

La globalizzazione dei mercati, la deregolamentazione finanziaria, la digitalizzazione dell'economia e l'invecchiamento della popolazione sono solo alcune delle sfide che dovranno essere affrontate.

In tale contesto, hanno sottolineato gli eurodeputati, la garanzia della sicurezza degli alimenti, della salute, dell'energia, dei prodotti finanziari e di quelli digitali deve costituire la massima priorità della futura agenda.

Il Parlamento europeo ha infine esortato la Commissione a preparare anche un Libro verde dei consumatori, utile per le organizzazioni di difesa dei diritti dei consumatori e dei cittadini.

di Francesca Balzani

Fonte: www.francescabalzani.it

Storia di un fallimento (perchè l’Italia non ha un grande festival)

22 luglio 2013 - Perché l’Italia non ha un grande festival? Perché non riusciamo ad organizzare un evento all’altezza di quelli che invidiamo ai paesi europei e agli Stati Uniti? Domande simili sono tornate di moda quest’anno perché è saltato l’Heineken Jammin’ Festival e abbiamo assistito al caso eclatante dell’A Perfect Day, annullato dopo che la line up completa era stata annunciata. Ma questo problema in Italia ha radici molto profonde: è un grave fallimento del sistema-paese. Se non abbiamo un festival degno di questo nome le responsabilità sono di tutti. Dei privati, delle istituzioni e del cosiddetto popolo. Il lungo periodo di recessione non aiuta, ma non può essere un alibi: in questo campo faticavamo molto anche quando il paese cresceva.

I privati. Eventi come Glastonbury e Sziget contano su organizzazioni che lavorano 12 mesi l’anno sulle proprie creature, mentre da noi sono sempre stati i promoter a tentare di mettere in piedi i grossi festival. Un’anomalia che produce effetti negativi: intanto è possibile che una struttura impegnata nella produzione di concerti abbia poche risorse per organizzare raduni lunghi e di una certa dimensione. Poi c’è un conflitto d’interesse: il promoter tende a privilegiare l’artista del suo roster nella costruzione del cast, anche se la scelta si rivela controproducente per la qualità del cast stesso. Ma soprattutto esiste un problema imprenditoriale: nessuno è riuscito a proporre un prodotto-festival all’altezza del mercato. Per esempio, le location si sono sempre rivelate inadatte e l’offerta di ristorazione non si è mai evoluta: non è più accettabile stare in coda due ore per bere una birra e non poter mangiare altro che un panino freddo con la salsiccia scotta. Dovreste vedere come funzionano questi servizi nei festival europei. Non dimentichiamoci che stiamo parlando di eventi destinati a una fascia di popolazione benestante.

Le istituzioni. Non è una novità che la classe politica italiana abbia problemi con la gestione del patrimonio e delle iniziative culturali. L’amministrazione pubblica non riesce a prendersi cura di un tesoro dell’umanità come Pompei, figuriamoci se può comprendere l’utilità di un festival musicale per l’economia di un territorio e di una collettività. Per il Sziget si mobilitano gli enti di promozione turistica ungheresi: non è un caso che degli oltre 350mila spettatori, la stragrande maggioranza sia straniera. Budapest spalanca le porte ai turisti e mostra all’Europa il suo profilo migliore. Noi non sappiamo farlo, eppure di turismo dovremmo essere campioni. E non posso fare a meno di chiedermi come si comporterebbe un Comune di fronte alla possibilità di organizzare un grande festival nel proprio territorio, se qualche abitante protestasse perché contrario. A giudicare da quanto avviene a Milano, dove un piccolo comitato di residenti condiziona la programmazione e la qualità (acustica) dei concerti a San Siro, ho come il sospetto di conoscere la risposta. Gli abitanti sono voti.

Il pubblico. Noi. Noi che viviamo la musica come il calcio, con le tifoserie di artisti e generi che rifiutano tutto quello che è “avversario”. Noi che non abbiamo il minimo interesse per quello che non conosciamo e persino ai concerti dei nostri idoli non degniamo di uno sguardo gli artisti spalla. Noi che diamo la colpa agli organizzatori se il prezzo del biglietto ci pare troppo alto, quando invece dipende quasi sempre dal cachet degli artisti. Noi che se il prezzo è giusto ci lamentiamo del cast (e, appunto, ignoriamo le richieste dei big). Noi che tra un weekend al mare e tre giorni dentro una tenda non abbiamo dubbi. Noi che ai festival italiani non ci andiamo, ma all’estero si perché è più figo. In effetti.

Ho citato Glastonbury e Sziget perché sono realtà virtuose che propongono modelli opposti. Il primo punta tutto sulla qualità (e la quantità) della proposta musicale, ma state certi che vostro figlio di due anni troverà tutte le strutture necessarie per passare una splendida giornata. E se vi si dovessero rompere le acque mentre ascoltate i Rolling Stones, non c’è problema. Tanto per capirci, in 40 anni di storia, Glasto si è costruito una tale credibilità che i biglietti finiscono 8 mesi prima dell’evento, quando nessun artista è stato annunciato. A Budapest invece hanno puntato sull’esperienza: andare al Sziget significa farsi una settimana di vacanza in un parco a tema (musicale) situato dentro un’isola sul Danubio. Concerti di tutti i generi e dimensioni, dj-set, ma anche giostre, meditazione, sport e infinite altre attività. Peace&Love. L’ingresso costa relativamente poco ma la struttura guadagna offrendo tutti i servizi necessari con efficacia. E Budapest gioca di sponda.

Sia in Inghilterra che in Ungheria, pur in epoche e contesti diversi, hanno pensato a un prodotto (magari aggiustandolo in corsa), l’hanno posizionato presso un pubblico che lo chiedeva e non hanno incontrato resistenze sul territorio. Guadagnano, creano lavoro e fanno divertire un sacco di gente. Così succede negli Stati Uniti per eventi come Coachella e il South By Southwest. Noi, d’estate, dobbiamo accontentarci dei cosiddetti concert series, cioè manifestazioni che offrono più o meno uno show a sera in un determinato periodo e nella stessa location. Va bene perché comunque ci portano grandi nomi, soprattutto internazionali. Accontentiamoci, ma non nascondiamo la testa sotto la sabbia.

(Tratto da Onstage Magazine, numero di luglio)

di Daniele Salomone

www.onstageweb.com

 

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